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L’impatto ambientale di Solvay

Nella foto - Laboratorio Sociale Alessandria

Ieri, durante l’ultima convocazione congiunta delle Commissioni Cultura e Sicurezza e Ambiente in Comune, Stefano Colosio, il nuovo direttore di Solvay – che nel mentre è diventata l’impronunciabile Syensqo, per tener fede alla tradizione secondo cui dopo un tot di anni è bene cambiare nome e ripulire la reputazione – si è espresso in merito all’impatto ambientale dei pfas prodotti dal polo chimico. 

Ha esordito sostenendo che il PFOA, pfas a catena lunga, sarebbe stato dismesso da Solvay dal 2013, anno in cui la multinazionale ha iniziato a produrre il cC6o4, pfas a catena corta, senza autorizzazione. 

Colosio si è dimenticato forse di aggiungere che, insieme al cC6O4, Solvay ha continuato a produrre un altro pfas a catena lunga che il polo chimico avrebbe dovuto dismettere nel 2015, ma che fino a poco tempo fa era ancora sicuramente utilizzato dalla multinazionale, dal momento che la Provincia di Alessandria aveva barattato l’ampliamento della produzione di cC6O4 con la progressiva dismissione dell’utilizzo dell’ADV7800, pfas nocivo quanto il PFOA.

Colosio ha inoltre dichiarato che la decisione di dismettere al 99% il cC6o4 entro il 2026 non sarebbe motivata dal suo impatto ambientale che, a suo dire, sarebbe “ampiamente meno nocivo del suo predecessore, il PFOA”, ma “perché è avverso all’opinione pubblica”.

Comitato Stop Solvay