L’intervista rilasciata dal segretario provinciale della CGIL, Franco Armosino, apparsa sul La Stampa di venerdì 19 febbraio, ha il merito di lasciare basiti.
Il dramma che Solvay sta producendo sul territorio non dovrebbe più lasciare spazio a mezze parole e silenzi, considerato che le conseguenze di anni e anni di inquinamento sono emerse in maniera dirompente nei dati degli studi epidemiologici ed il disastro ambientale in atto è, giorno dopo giorno, un’evidenza.
“Non è più accettabile – dice Viola Cereda, portavoce del Comitato Stop Solvay – imporre agli uomini e alle donne che vivono in questa provincia di scegliere tra il diritto alla salute ed il lavoro”.
Il tentativo di minimizzare le drammatiche conseguenze della produzione Solvay non può non essere interpretato che come connivenza con il colosso belga: la salute degli e delle abitanti di Spinetta non pare essere altro che un fastidioso inciampo sulla via del profitto della multinazionale.
Solvay inquinava, inquina e continuerà ad inquinare.
Non può che essere questo l’assunto da cui partire per ragionare seriamente della salute di un territorio già fin troppo martoriato.
“L’ultima cosa che avremmo voluto sentire – aggiunge Viola – era l’incipit di una “trattativa” giocata, ancora una volta, sulla carne viva delle persone. “Se Solvay lascia Spinetta dobbiamo trovare un ‘altro potenziale ecomostro che la rimpiazzi” è quello che ci pare di leggere (senza troppa difficoltà) tra le righe dell’intervista rilasciata dal segretario provinciale della CGIL. Davvero questo è il tenore della discussione?
Davvero, se c’è il rischio che Solvay vada altrove, si creder di dover accelerare l’iter finalizzato all’edificazione del deposito nucleare unico sul nostro territorio?
Pensiamo che le donne e gli uomini di questa provincia siano stanchi e stufi di questo maledetto ricatto, pensiamo che la pandemia abbia dimostrato e stia dimostrando che nulla può essere barattato con la salute”.
La reale ed effettiva bonifica del sito è necessaria per garantire la riqualificazione dei territori colpiti dall’inquinamento della multinazionale.
E inevitabile, per consentire i lavori di bonifica, è il blocco della produzione di Solvay.
Questo, i dirigenti della multinazionale lo sanno bene, motivo per cui, quando è stato il momento, hanno impropriamente definito “bonifica” quella che in realtà non è altro che la messa in sicurezza operativa – un piano che prevede solo la riduzione dello sversamento degli inquinanti.
Le Istituzioni dovrebbero assicurare la certezza che quell’ecomostro smetta di impattare sulle vite di chi abita a Spinetta (ma anche nei comuni limitrofi e in tutta la Pianura Padana – considerato che il cC6o4 è stato rilevato addirittura alla foce del Po) ed avviare immediatamente uno screening sanitario della popolazione per fare chiarezza.
“Un secolo di veleni e morti può bastare!”