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Decreto sicurezza bis: ancora accentramento e repressione

Nella foto - Laboratorio Sociale Alessandria

L’aveva detto e l’ha fatto.
A pochi giorni dal voto europeo, quasi ad epilogo della sua campagna elettorale, il Ministro degli Interni ha sferrato il colpo da novanta: il “decreto sicurezza bis”.
Dopo aver compreso – forse su consiglio di qualche espert* di comunicazione – che la delirante battaglia per la chiusura dei negozi di cannabis light non solo danneggia “certi altri interessi”, ma addirittura manda in crisi persino il suo stesso elettorato, ha rilanciato con i suoi evergreen: stretta su immigrazione, guerra alle ONG, criminalizzazione del diritto alla manifestazione del dissenso attraverso l’inasprimento del trattamento sanzionatorio e l’abuso di misure indubbiamente afflittive in nome della sicurezza e dell’ordine pubblico.
A seguito della decisione, assunta dal Presidente Conte, di far slittare la discussione del salviniano decreto al periodo post elettorale, lo scorso 11 giugno il testo è stato licenziato dal Consiglio dei Ministri, seppur con qualche minima modifica rispetto alla stesura originaria.
Come facilmente intuibile dall’avverbio numerale utilizzato, il decreto legge torna ad occuparsi, a distanza di pochissimo tempo dal decreto sicurezza e immigrazione, di quelle stesse tematiche che sembrano ormai ossessionare il Vice Premier.

Il decreto si compone di 18 articoli che riproducono un “giro di vite” su immigrazione irregolare, sicurezza ed ordine pubblico e poco differisce dalla bozza in circolazione a metà maggio.
Nello specifico, sono stati oggetto di modifica gli articoli 1 e 2 del decreto, dedicati al tema dell’immigrazione, che nella formulazione originaria, avevano generato numerosi dubbi circa la loro legittimità costituzionale.
Lo spirito fortemente accentratore dell’intero decreto si manifestava evidente fin dalla lettura delle prime disposizioni. Inizialmente, infatti, il neonato decreto attribuiva al Ministro degli Interni il potere di limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale (con l’eccezione del naviglio militare e delle navi in servizio governativo non commerciale) consentendogli di assumere – tramite auto attribuzione – una competenza fino ad oggi riconosciuta al Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti al fine di concretizzare il tanto caro slogan “porti chiusi”.
La norma ha subìto, in sede di Consiglio dei Ministri, una parziale modifica ed il testo ora prevede che la decisione debba essere presa “di concerto” tra il Ministro della Difesa, il Ministro degli Interni e quello delle Infrastrutture e dei Trasporti, dopo averne informato il Presidente del Consiglio.
Sparisce inoltre, nella nuova formulazione del decreto, il riferimento alle sanzioni fino a 5.500 euro che, secondo la bozza iniziale, avrebbero dovuto applicarsi, per ogni migrante trasportato, alle navi ONG ree di aver operato un soccorso in mare.
Restano ferme invece le sanzioni amministrative (applicabili al comandante della nave, all’armatore ed al proprietario) del pagamento di una somma da 10.000 a 50.000 euro in caso di contravvenzione ai divieti ed alle limitazioni posti dai Ministeri di concerto fra loro, fatta salva, ovviamente, “l’applicabilità di eventuali sanzioni penali”. Peraltro, la reiterazione della condotta, comporterà l’applicazione anche della sanzione della confisca amministrativa dell’imbarcazione con sequestro cautelare immediato.
Prosegue, dunque, la guerra personale del Ministro non solo ai migranti, ma anche alle ONG nonostante, fino ad ora, tanto i fatti quanto gli atti delle procure abbiano smentito l’esistenza di alcun legame tra le stesse e le organizzazioni di trafficanti.
Ad occupare la scena vi è la solita propaganda che dipinge l’immigrazione come emergenza nel tentativo di legittimare una risposta sanzionatoria forte e dai caratteri marcatamente repressivi, mentre nel frattempo passa in sordina l’ennesima assenza del Ministro degli Interni al vertice UE sui migranti. Il soggetto politico italiano che ricorre più sovente al tema dell’immigrazione, strumentalizzandolo ai propri fini elettorali, è lo stesso che diserta i vertici europei cui siedono i Ministri degli Interni di tutta Europa.

L’impostazione accentratrice e particolarmente repressiva non caratterizza solo la parte del decreto relativa all’immigrazione, ma investe anche le norme relative, in particolare, alla manifestazione del dissenso e all’ampliamento della portata di una misura, quella del Daspo, dai profili di legittimità costituzionale piuttosto incerti.
In particolare, per ciò che attiene lo “svolgimento delle manifestazioni in luogo pubblico e aperto al pubblico”, al fine di “assicurare maggiore tutela agli operatori delle Forze di polizia impiegati in servizi di ordine pubblico”, il decreto inasprisce le sanzioni previste per chi contravvenga al divieto di fare uso di caschi protettivi, o qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona (arresto da due a tre anni e ammenda da 2.000 a 6.000 euro).
È inoltre prevista la pena della reclusione da uno a quattro anni per chi, nel corso delle manifestazioni, lanci o utilizzi illegittimamente cose, razzi, oggetti contundenti o strumenti per l’emissione di fumo. L’espressione del dissenso preoccupa a tal punto il Ministro da fargli avvertire la necessità di contrastarla attraverso lo strumento legislativo, visto che, evidentemente, scomodare altri corpi nazionali affinché rimuovano le “lenzuola disobbedienti” non è più sufficiente.  
L’art. 7 del decreto dispone poi l’introduzione di specifiche circostanze aggravanti per i reati di: violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità, saccheggio e devastazione, danneggiamento, che siano commessi durante manifestazioni pubbliche.
Infine, il Capo III del decreto si occupa di contrasto alla violenza in occasione di manifestazioni sportive. Viene ampliata la durata del Daspo che può andare da un minimo di sei ad un massimo di dieci anni, a fronte degli attuali cinque ed otto, e si allarga anche il bacino di soggetti potenziali destinatari di tale misura da parte del Questore (art. 13)
Viene introdotta, tra le aggravanti comuni (art. 61 c.p.), quella di “aver commesso il fatto in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni” e si preclude la possibilità di ottenere l’applicazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.) qualora si proceda per delitti commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive e puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi.

Da una lettura, seppur superficiale, del decreto sicurezza bis sorgono, insomma, spontanee alcune osservazioni.
Innanzitutto, oltrepassa l’assurdità il fatto che, nel giro di pochi mesi, si ricorra nuovamente ad uno strumento straordinario, di necessità ed urgenza per definizione, quale è il decreto legge (art. 77 Cost.) per improvvisarsi legislatori e sfogare così le proprie manie di IMpotenza.
Ma soprattutto quel che ormai è tristemente evidente è che le responsabilità politiche di una tale ondata reazionaria non possono più attribuirsi esclusivamente al Ministro degli Interni. L’entourage di Governo, ormai totalmente asservito e tenuto sotto scacco dal Vice Premier, non ha perso occasione per dimostrare ancora una volta la propria inettitudine politica e l’incapacità di costituire un argine, seppur minimo, ai deliri securitari del Capitano.
Tornano nel mirino coloro che Salvini considera veri e propri nemici politici: i migranti, chi solidarizza con gli stessi conservando quel minimo di umanità che impone di non voltarsi dall’altra parte di fronte all’ignominia di quanto avviene quotidianamente nel Mediterraneo e, ovviamente, chi osa esercitare il diritto di dissentire e di creare conflitto di fronte alla divampante deriva reazionaria e securitaria.
Non stupisce, infine, che ancora una volta la più grande assente della normativa sia la criminalità organizzata che, evidentemente, per il Ministro degli Interni non rappresenta un’emergenza nel nostro Paese e non merita di trovare dimora in un decreto che tratta di sicurezza.

Autrice

Beatrice Guasta