
Finora abbiamo parlato dell’invadente e dell’incazzato. Questa volta, sempre sviscerando la fenomenologia del pendolare, ci occupiamo di una figura molto importante. Perché è forse quella numericamente più consistente della categoria. E’ “Il rassegnato”. Il rassegnato è il pendolare ormai sfiancato da anni, quando non da decenni, di treni soppressi, di ritardi al lavoro, di coincidenze perse, di appuntamenti disdetti, di lunghi viaggi in piedi. E’ il pendolare che si sveglia di soprassalto di notte da un incubo ricorrente in cui un altoparlante annuncia “dlin-dlon, la avvisiamo che questo mese lo stipendio le verrà pagato con venti giorni di ritardo, diversamente da quanto già annunciato. Ci scusiamo per il disagio”. Il rassegnato è facilmente riconoscibile quando, sul treno fermo lungo binario in attesa della partenza, si sente l’annuncio più temuto da tutte le categorie di pendolari. L’agghiacciante, spaventoso, devastante “ritardo imprecisato”. All’orribile notizia gli altri viaggiatori si infuriano, imprecano, si lamentano. Il rassegnato no. Resta in silenzio, immobile come una statua di marmo. Solo un occhio allenato può notare la sua mascella contrarsi. Una contrazione impercettibile. Ma granitica. E gli occhi farsi due fessure. In situazioni come questa i rassegnati si riconoscono fra loro. Incrociano lo sguardo, e con un leggero cenno del capo si esprimono reciproca solidarietà. Se poi il treno viene soppresso, tutti gli altri si precipitano di corsa verso quello successivo, che ovviamente partirà entro quattro minuti. Lui no. Si alza senza una parola, infila la giacca e si incammina con passo regolare, cadenzato. Come un automa. In un certo senso è l’antitesi de “l’incazzato”, di cui abbiamo già parlato. A differenza dell’incazzato, il rassegnato non se la prende con il capotreno. Anzi, nei momenti di difficoltà gli accenna anche un sorriso di comprensione. Hanno condiviso troppe sventure ferroviarie, lo sente quasi come un fratello. Mentre salendo su un treno già strapieno l’incazzato si precipita di corsa alla ricerca dell’ultimo posto disponibile, il rassegnato si affaccia all’interno del vagone, osserva con sguardo inespressivo tutti i posti occupati e rimane semplicemente in piedi nel passaggio fra le carrozze. Senza tradire la minima emozione. Solo contrae ancora un po’ di più la mascella. Però ve lo devo confessare. A me il rassegnato un po’ inquieta. Perché quando vedo la sua mascella serrarsi sempre di più, mi torna in mente una frase di Michael Douglas nel film “Un giorno di ordinaria follia”: “Io cerco soltanto di arrivare a casa per la festa di mia figlia, e se nessuno si metterà sulla mia strada, nessuno si farà del male”.
Il racconto di un uomo qualunque impegnato in una quotidiana impresa eccezionale:
viaggiare da Alessandria a Torino con un treno regionale
Ascolta “Fenomenologia del pendolare”
Musica – Teho Teardo – Finale con Tiepolo
Autore
Fabio Bertino
ph. Paolo Gambaudo