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L’invasione che non c’è e la negazione dei diritti fondamentali

Non contento della “meravigliosa” Circolare del 4 luglio 2018, con la quale chiedeva alle Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale di restringere il riconoscimento della protezione umanitaria, il Governo ha prodotto la bozza del Decreto Immigrazione, che di fatto, se approvato, negherà una serie di diritti fondamentali alle persone che entrano in Italia da paesi non-UE.
La possibilità di riconoscere tale permesso è stata introdotta nel nostro ordinamento nel 1998, (ben prima della normativa sulla protezione internazionale, che è del 2007/2008).
È una norma di carattere nazionale, non diffusa in tutti gli altri Paesi dell’UE.
I due istituti predisposti a rilasciare tale permesso sono il Questore e le Commissioni Territoriali.
La possibilità di concedere la protezione umanitaria deriva da obblighi internazionali, costituzionali ed umanitari. Può essere concessa quando la persona, se rimpatriata, verrebbe sottoposta a una menomazione degli obblighi costituzionali; quando il respingimento, in relazione alle condizioni della persona, comporterebbe una situazione di vulnerabilità; a garanzia del diritto alla salute, se nel Paese di origine le cure mediche non sono adeguate; se nel paese di origine vi è un impedimento effettivo delle libertà democratiche; per garantire il benessere psicologico della persona, un livello di vita dignitoso; per tutelare l’unità famigliare; se la persona, in caso di rimpatrio, fosse inserita in un contesto profondamente discriminatorio; se vi sono gravi motivi di carattere umanitario quali la minore età, la vulnerabilità in relazione alla crisi esistente nel Paese di origine, un recente gravidanza, la perdita di tutta la famiglia (per approfondire vedere la Circolare 3716 del 30 luglio 2015).
Le intenzioni del Ministro dell’Interno di eliminare la possibilità di rilasciare tale permesso, abrogherebbero di fatto il riconoscimento di diritti fondamentali. Un diritto fondamentale però non può essere negato, e, per definizione, non può mai dipendere dal numero delle persone a cui verrebbe riconosciuto.
Ma questa non è la sola stortura del Decreto. L’articolo 2 propone il prolungamento della durata del tempo di trattenimento nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR). La detenzione amministrativa in Italia è stata istituita nel 1998 con la legge Turco-Napolitano, conosciuta come Testo Unico sull’immigrazione: sono passati 20 anni e da allora è cambiato l’acronimo con cui sono nominati i centri (da C.P.T. a C.I.E. fino agli attuali C.P.R.). Il trattenimento all’interno di questi centri di detenzione amministrativa, dove di fatto le persone, senza aver commesso alcun reato e in assenza del pronunciamento di un giudice, vengono private della loro libertà, verrà prolungato da 90 a 180 giorni. Persone che non hanno commesso nessun reato vivrebbero in un regime del tutto simile a quello carcerario per 6 mesi, per il solo fatto di chiedere di esercitare un proprio diritto.
Come risultato i soggetti più vulnerabili saranno sempre più spinti verso l’irregolarità e l’esclusione sociale.
Appare inoltre chiara l’intenzione di tenere reclusi i richiedenti asilo per avere maggiore facilità ad effettuare i rimpatri. Il Decreto prevede infatti un aumento delle risorse al Fondo per i rimpatri, per un totale di 3,5 milioni di euro spalmati in tre anni: “Al fine di potenziare le misure di rimpatrio” il Fondo “è incrementato di euro 500.000 per il 2018, di euro 1.000.000 per il 2019 e di euro 1.500.000 per il 2020”.
È utile ricordare gli accordi tra il Governo italiano e la Libia firmati nel 2017 dall’allora Ministro Minniti e portati avanti da Matteo Salvini e dal suo Governo. È ormai provata la sistematica violazione dei diritti umani in Libia, paese che, tra l’altro, non aderisce alla Convenzione sui rifugiati, quindi identifica tutti i migranti illegali come criminali.
Oltre ad un costo insopportabile in termini di vite umane, l’accordo di esternalizzazione delle frontiere ha ovviamente un costo anche in termini economici, pari a diversi miliardi di euro.
Tornando al Decreto, si restringe la possibilità di iscrizione anagrafica per i titolari di alcune tipologie di permesso di soggiorno che impedirà l’accesso a diritti fondamentali, a partire da quello alla salute.
Già solo dalla lettura di questi pochi, ma significativi articoli, appare evidente come l’approvazione del testo presentato negherà l’accesso ai diritti fondamentali a migliaia di persone, in sfregio al diritto internazionale, oltre che ai basilari diritti dell’uomo.
Il Governo intende chiaramente e dichiaratamente utilizzare il Decreto come disumano deterrente a nuovi sbarchi.
Si è arrivati a questo obbrobrio giuridico attraverso anni di propaganda e demagogia, di cui l’attuale Governo non è certo il solo e unico responsabile, anzi, proprio un demagogo xenofobo come Salvini si è trovato tra le mani le armi di legge ed un “Memorandum di intesa” disumano partorito dalla mente del Ministro Minniti e firmato bilateralmente da Gentiloni (allora premier) e Fayez al Serraj, primo ministro del governo-fantoccio di Tripoli.
Le premesse usate come armi affilate da Salvini per una lotta senza quartiere ad un’invasione che non c’è, ma che viene sbandierata ad arte dall’attuale Ministro dell’Interno, impegnato in una demagogica campagna elettorale auto-generativa e continua; a questo Governo necessaria per attenuare e mascherare lacune, mancanze e promesse elettorali inestinguibili.

Autori

Operatori di Enea Infopoint