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Dal giudizio dei mercati non nasce niente, da Salvini e Di maio non nascono fior

Nella foto - Laboratorio Sociale Alessandria

Evviva la politica e abbasso la logica! A scorrere le bacheche personali dei social si scopre come la fibrillazione politica di questi giorni stia accendendo gli animi anche di chi spesso si è poco interessato degli eventi circostanti e abbia provato a dare della realtà una propria interpretazione. Al netto delle prevaricazioni, degli insulti e degli sberleffi è scaturita una discussione che si è fatta lotta politica a colpi di tastiera, tra chi ha indossato l’armatura dei corazzieri a difesa del Quirinale e chi si è vestito da ardente giacobino per rivendicare il volere del popolo. Al centro della diatriba vi è stata la legittimità costituzionale della decisione del presidente Sergio Mattarella, ma se guardassimo i processi politici dalle “spalle dei giganti”, ci accorgeremmo come questo sia solo il dito della questione, mentre la luna ahimè è ben lontano dal cuore del problema. Sono le parole del Presidente e le motivazioni addotte a seguito di quella decisione su cui è necessario riflettere: la tutela dei risparmiatori è stata anteposta alle scelte democratiche dei cittadini, l’innalzamento dello spread che da strumento speculativo si trasforma nel metro di giudizio per attivare la spesa pubblica e gli investitori stranieri presentati come alfieri della stabilità politica. Non è una novità che negli ultimi anni i principi democratici e le esigenze sociali siano state sacrificate sull’altare dei dogmi economici e finanziari, ma a pronunciare tali parole è stato il Presidente della Repubblica. Così i parametri finanziari hanno sostituito la politica, sono essi stessi politica, senza esporsi al consenso e all’obbligo di dover rendicontare a un popolo i propri effetti. E il senso di smarrimento si fa ancora più grande in queste ore in cui i ministri si insediano nelle caselle preposte dalla trattativa fiume tra Salvini e Di Maio. Nessuna obiezione è stata posta ad alcune figure inquietanti di quel governo del cambiamento, da Lorenzo Fontana antiabortista ministro della famiglia (già ci vengono i brividi) che usa parole come “sostituzione etnica” parlando di immigrazione, fino a Giulia Bongiorno avvocato di Andreotti, Emanuele di Savoia e di Raffaele Sollecito, insomma non il meglio sulla piazza. Mentre tutti ci concentravamo sullo scontro tra Savona e il Quirinale, Salvini agguantava a morsi i dicasteri simbolo della sua narrazione xenofoba e identitaria. E in pochi giorni dalle minacce di assediare il palazzo e urlare al golpe come bambini a cui hanno sottratto il pallone prima di calciare il rigore, ci ritroviamo innanzi al governo del cambiamento, o meglio del regresso. Il presidente della Repubblica ha concentrato gli sforzi sulle idee economiche e monetarie del nuovo governo, senza proferire parola su aspetti distorsivi e temibili sia del contratto che delle persone che incarneranno questa presunta stagione di cambiamento. Il contratto simbolo della novità per il duo grilloleghista si è legato indissolubilmente con il rispetto dei mercati imposto dal Quirinale, come se la sicurezza richiesta da Mattarella nel dicastero economico avesse un effetto domino anche sulle altre posizioni, e magicamente anche gli aspetti più temibili del contratto di governo potessero essere smussati.
Mattarella ha tracciato il percorso, il governo potrà frenare o sterzare, ma non potrà uscirne, noi intanto ci limitiamo a costruire quelle che Hobbes chiamava le “dottrine sediziose”: quelle dotazioni dei dominati per anticipare e preparare il cambiamento politico nei confronti dei dominanti. Per non ridurre la spiegazione del mondo con formule matematiche, per ridare al sapere la sua natura umanistica e rigettare la pretesa di misurare quantitativamente ogni relazione sociale o politica.

Autore

Andrea Sofia

L’illustrazione è di Gipi (Gian Alfonso Pacinotti)