Non ci stupisce l’ordine del giorno presentato, per il Consiglio Comunale di mercoledì 17 febbraio, da Emanuele Locci (Alessandria migliore con Locci) e Piero Castellano (Fratelli d’Italia) in cui si chiede al consiglio comunale di esprimere pieno sostegno alla circolare della Regione Piemonte, che si oppone – senza alcuna discussione in consiglio regionale – alle linee guida del Ministero della Salute inerenti la somministrazione della pillola abortiva RU486 e l’accesso all’aborto farmacologico.
La stessa circolare contro cui, insieme a centinaia di persone, siamo scese in piazza il 31 ottobre scorso a Torino.
Dopo la presentazione della mozione Locci Trifoglio nel 2018, questo non è altro che l’ennesimo tentativo di minare l’autodeterminazione delle donne.
Il trucco ancora una volta consiste nel dire di voler applicare la 194 nella sua totalità sostenendo, però, le associazioni che sono legate a movimenti che la 194 intendono abrogarla. La cosa più subdola è il tentativo di far passare un’operazione prettamente ideologica, che lede la capacità di ogni donna di poter decidere della propria vita e del proprio corpo in maniera autonoma, per un’accortezza nei confronti delle donne stesse.

Ricordiamo che la circolare:
• Incentiva la presenza di associazioni pro-vita e antiabortiste all’interno delle strutture sanitarie pubbliche, promuovendo l’apertura di loro sportelli permanenti.
• Mette in discussione l’accesso all’aborto farmacologico in regime di day hospital, riservando la scelta ai singoli medici, che possono così decidere di accettare di somministrare la pillola abortiva esclusivamente previo ricovero, seppur non esistano prove scientifiche che confermino la pericolosità del day hospital per la donna in condizioni di salute.
• Impedisce la somministrazione dell’RU486 all’interno dei consultori.

Nell’odg, presentato dai due consiglieri antiabortisti, già firmatari della mozione Locci Trifoglio, si legge che “ricondurre l’aborto al day hospital, depotenziare la funzione di prevenzione e tutela dei consultori e l’estensione del limite a nove settimane di gravidanza vanno nella direzione di un più forte confinamento nella sfera privata di un gesto di grande rilevanza emotiva, sociale e morale e hanno l’effetto di far gravare in modo sempre più pesante sulle spalle della (sola) donna l’onere di un gesto dalle drastiche conseguenze”.

Locci e Castellano, dunque, vogliono precludere la somministrazione della RU486 all’interno dei consultori ma ci raccontano di farlo perché hanno a cuore la tutela delle donne. Ma per tutelare le donne, e salvaguardarne il diritto di scelta, non sono proprio i consultori – strutture nate dalle lotte delle donne degli anni 70 – i luoghi più indicati?

Per non parlare del giudizio di valore che viene dato in merito alla pratica stessa dell’aborto: sostenere che l’aborto sia “un gesto di grande rilevanza emotiva, sociale e morale”, vuol dire implicitamente giudicare l’aborto come una pratica sociale, non più riconducibile a una scelta individuale della donna, così come dovrebbe essere, quanto a un atto con delle ripercussioni per la collettività (argomentazione care alla destra italiana ma non solo, che utilizza lo spauracchio della sostituzione etnica per ostacolare le politiche in materia di salute riproduttiva e poter continuare con le proprie politiche di controllo dei corpi).
Giudicare l’aborto come una pratica di grande rilevanza morale vuol dire decidere in maniera arbitraria quale siano i parametri morali ai quali si vuol fare riferimento, fare leva sulla rilevanza emotiva del gesto vuol dire non tener conto di tutte quelle donne che, giustamente, non vivono la pratica abortiva come una “licenza di uccidere”, mantra caro alle associazioni antiabortiste a cui si vogliono spalancare le porte degli ospedali pubblici.

Siamo stanche di retoriche colpevolizzanti, così come siamo stanche di essere infantilizzate da chi reputa non abbastanza consapevoli le nostre scelte. Non abbiamo bisogno di politiche che ostacolino ancora una volta l’accesso alle pratiche abortive, già messe a repentaglio dall’alto tasso di obiezione di coscienza ed alla considerazione dei consultori come servizi non essenziali da poter mettere in discussione in tempi di pandemia.

Riprendiamo le parole in merito della Consulta di Bioetica:
Le nuove Linee guida del ministro Speranza non fanno altro che riconoscere che la RU486 allarga la tutela della riservatezza della donna, e valorizzano quest’aspetto, ben sapendo che la donna è persona avveduta e responsabile che sceglie sulla scorta di propri piani di vita meritevoli di rispetto. La lotta all’aborto si fa non attraverso la limitazione coattiva della libertà della donna, ma implementando politiche sociali adeguate così che l’“allargare le possibilità di scelta” non equivalga necessariamente al “ti lascio sola: arrangiati come puoi!”. Anzi, continuare a credere che il ricorso alla sala operatoria sia efficace antidoto per prevenire la cosiddetta banalizzazione dell’aborto, o che l’aumento di riservatezza garantito dalla RU486 equivalga al “lasciarla sola” è frutto di un pregiudizio ideologico poco rispettoso delle scelte della donna stessa.

Lo ribadiamo, per noi garantire alle donne la possibilità di scegliere se diventare madri o no non può prescindere da politiche sociali adeguate, vuol dire intervenire sulla quotidianità delle persone che abitano la città, vuol dire abbassare le rette degli asili nido, rendere gratuiti i servizi per l’infanzia, garantire case popolari per chi ne ha bisogno, smettere di vincere ogni anno il record di polveri sottili nell’aria, vuol dire battersi contro l’inquinamento da pfas causato dalla multinazionale della chimica Solvay (sostanze che ricordiamo essere interferenti endocrini che causano un alto tasso di aborti spontanei e infertilità sia maschile sia femminile), rendere il centro un luogo a misura di bambina/o e non di auto.
Vuol dire garantire a quelle donne che scelgono di avere dei figli di crescerli in un ambiente sano e accogliente.

Si lasci alle donne che, invece, non vogliono figli la propria libertà di scelta e la possibilità di poter accedere al servizio senza che ad accoglierle siano associazioni che mettano in dubbio la capacità stessa della donna di poter prendere una decisione in completa autonomia.

Sui nostri copri decidiamo noi!

Non Una di Meno Alessandria 
Casa delle Donne

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