Due elementi su cui da sempre il femminismo basa le sue pratiche sono la politicizzazione del corpo e quella del proprio privato, ovvero il “partire da sé” come strumento di pratica politica. Oggi i nostri corpi sono vulnerabili, forzatamente reclusi e la solitudine fisica è paradossalmente la prima pratica per potersi prendere cura dell’altra/o, limitando le possibilità di contagi.

In questo momento in cui i corpi sono lontani, le relazioni sembrano essere così difficili e la dimensione domestica ha preso il sopravvento nelle nostre vite, abbiamo deciso di sperimentare una nuova forma di confronto e condivisione, usando la tecnologia per poter mettere in rete le nostre esperienze in una piazza virtuale. Ieri durante la prima video chiamata collettiva #nonseisola abbiamo deciso di concentrarci sulla dimensione del lavoro produttivo ma è stato chiaro fin dal primo intervento quanto lavoro produttivo e riproduttivo non possano essere scissi.

Lo raccontano le storie di lavoratrici autonome con figli che con lo smart working sono costrette a barcamenarsi tra lavoro e famiglia, spesso subendo anche rimproveri e ricatti da parte dei datori di lavoro; oppure le lavoratrici dipendenti sole e con figli che sono state costrette a rinunciare al lavoro e tuttavia non detengono ancora i requisiti necessari per accedere al reddito di cittadinanza. O ancora le lavoratrici dello spettacolo, che insieme ai loro colleghi hanno lanciato una campagna social e una battaglia politica per ottenere un reddito di quarantena che consenta loro di vivere dignitosamente in questo momento in cui la produzione culturale è sospesa.

Ed è proprio la necessità di ri-immaginare l’idea di reddito ad essere stato uno dei focus della discussione: un’estensione più inclusiva e universale per raggiungere tutte e tutti coloro che sono escluse ed esclusi dagli ammortizzatori sociali. Con urgenza è emersa la necessità di mettere in campo una politica economica che sappia fornire risposte e sostegni concreti che non si esauriscano nel periodo della “quarantena” o “dell’emergenza”, ma divengano strutturali, come fondamento di un nuovo Welfare finalmente inclusivo e garantistico, svincolato dal lavoro e capace di dare a tutte e a tutti dignità.

Il tema del reddito è da sempre caro a chi, come Non una di Meno, combatte ogni giorno contro la violenza di genere: un’entrata economica indipendente dal lavoro sarebbe per molte donne vittime di violenza domestica o di ricatti e molestie sul lavoro il più efficace strumento di autodeterminazione.

Quel che infine è emerso da questo primo esperimento di confronto a distanza è stata una gran voglia di non trovarci sole/i, di opporci a un mondo del lavoro parcellizzato, a una struttura economica che vorrebbe farci credere che essere un’insegnante di ruolo con determinate tutele sia un privilegio – con tutte le difficoltà e le storture che in realtà si celano dietro al decisamente sotto finanziato sistema scolastico pubblico – piuttosto che lavorare per rendere quel “privilegio” un diritto per tutte/i e non un’eccezione.

Continueremo a parlare di lavoro e continueremo a farlo in questa modalità collettiva, perché ragionare insieme è l’unico modo per provare ad analizzare la complessità del presente e delle nostre vite; se c’è una cosa che ancora di più in momenti di rottura è evidente, è che nessuna/o deve essere lasciata/o indietro e che da questa crisi sociale e sistemica ne usciremo solo se riusciremo a prenderci cura delle proprie vulnerabilità e di quelle delle/gli altre/i e a lottare insieme.

Qui sotto il video della call telematica di sabato 21/03/20:

Non Una di Meno Alessandria – Casa delle Donne

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