Movimenti, associazioni e centri sociali hanno “liberato” dall’incuria e dall’abbandono la ex caserma dei Vigili del Fuoco di Via Piave. Uno spazio pubblico dimenticato da oltre due anni e riscoperto solo questa estate per svolgerci all’interno la festa provinciale del Partito Democratico. Finita la festa, tutto è tornato come prima, uno spazio nuovamente abbandonato, forse per riscoprirlo alla prossima festa di qualche partito. Movimenti e associazioni sono convinti che l’utilizzo non possa essere quello e che la caserma debba essere restituita alla cittadinanza a partire da concreti progetti sociali, culturali, artistici, sportivi di cui c’è bisogno. Movimenti e soggetti sociali, dunque, propongono che questo spazio diventi un luogo del comune, nè pubblico, nè privato, ma gestito da tutte le donne e gli uomini che sentono la necessità di costruire luoghi liberi dalla paura e dal controllo sociale.
“Proprio oggi, al tempo dei deliri securitari fra pacchetti sicurezza e ordinanze di sindaci sceriffi, siamo convinti di dover ripartire a costruire luoghi che siano aperti, attraversabili da tutti, luoghi che siano antifascisti, antirazzisti, antiproibizionisti e antisessisti – si legge in un comunicato congiunto, che porta per prima la firma della Comunità di San Benedetto al porto, di Genova – in una parola, spazi di libertà, capaci di costruire qui e ora un modello di società migliore non basato su indifferenza, paura, esclusione e diffidenza. Vorremmo tanto che si potesse aprire sull’utilizzo di questo spazio una grande discussione pubblica nella città, perchè a conti fatti gli unici che possono decidere sul suo utilizzo sono le persone che questa città la vivono. Noi, quelli che da anni si organizzano in basso e a sinistra, pensiamo innanzi tutto che questa struttura non debba essere venduta a privati per farci l’ennesimo centro commerciale o l’ennesima opera di speculazione edilizia. La mappa dei conflitti di questi anni ci parla della mancanza di strutture di prima accoglienza, della penuria cronica di case popolari, della carenza di asili, della mancanza di luoghi dove praticare sport a prezzi accessibili, della necessità di spazi di produzione culturale, dell’urgenza della messa in condivisione dei saperi, del bisogno di costruire socialità”.
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