
Lo scorso 8 marzo, per migliaia di donne in tutto il Mondo, è stata una giornata di manifestazioni, cortei ed eventi contro la violenza di genere e la società razzista e patriarcale. E’ stata la data in cui, nel Caracol di Morelia (nello stato del Chiapas in Messico), le donne “con la dignità ribelle” del sud-est messicano, le indigene dell’America Latina, le palestinesi, le combattenti curde, le femministe europee e le attiviste afroamericane hanno stretto un patto. Lo hanno fatto anche per tutte coloro che non potevano essere presenti al “Primo Incontro Internazionale Politico, Artistico Sportivo e Culturale delle Donne che lottano” e per quelle che, invece, non lottano e si conformano.
Anche quattro attiviste di Non Una di Meno Alessandria erano di fronte all’Insurgenta Erica, mentre dal palco pronunciava il discorso di apertura dell’incontro, convocato dalle zapatiste per la prima volta nella storia dell’EZLN.
Anche a loro è arrivata la sua richiesta: “Quando vi chiederanno qual è il nostro accordo, rispondete che abbiamo deciso di vivere.”
Per le oltre 8000 donne che hanno attraversato il mondo per rispondere alla chiamata delle zapatiste, vivere significa lottare contro la violenza fisica, istituzionale, economica che il sistema capitalista e patriarcale agisce su di loro in quanto donne.
Vivere è essere libere di attraversare i confini, senza subire respingimenti brutali. E’ chiedere il rispetto dei propri diritti, senza cadere sotto i colpi della repressione. E’ lavorare in condizioni dignitose e crescere in ambienti salubri. Vivere è rompere gli ingranaggi del meccanismo che ci vuole suddite e ricattabili.
Le donne zapatiste dell’EZLN hanno inziato a fare a pezzi quel meccanismo 25 anni fa, quando hanno alzato la testa e detto “Ya basta” non solo ai 500 anni di sfruttamento e schiavitù dei popoli indigeni, ma anche ai loro mariti e ai loro compagni di lotta. Hanno aperto una breccia quando hanno cambiato, prima di tutto, il loro mondo imponendo la legge rivoluzionaria delle donne dell’EZLN. Dieci punti che hanno fatto dello zapatismo una pratica di inclusione e di difesa dei diritti delle donne, a partire dal diritto alla salute, all’educazione, al lavoro per un giusto salario fino alla rivendicazione di poter assumere ruoli di comando nelle forze armate della rivoluzione e nell’organizzazione della società.
E’ proprio per questo, forse, che il successo dell’evento dello scorso 8 marzo nel Caracol di Morelia ha superato ogni aspettativa, infondendo energia ed entusiasmo alle attiviste che hanno potuto toccare con mano la portata del movimento femminista e stabilire connessioni tra le loro lotte. Nei tre giorni trascorsi tra laboratori, discussioni e dibattiti, infatti, le partecipanti si sono confrontate sugli obiettivi e le strategie comuni che vanno messe in campo per contrastare gli abusi che il patriarcato riproduce in maniera sistematica sulle donne di ogni angolo del globo.
Sono tornate a casa con la forza necessaria per alimentare il fuoco che si è acceso a Morelia e con la consapevolezza che “il XXI secolo – come hanno detto le resistenti curde nel video-messaggio inviato in Chiapas – sarà il secolo della rivoluzione delle donne.”
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