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La guerra ai deboli e ai diversi

Nella foto - Laboratorio Sociale Alessandria

Ora le battute sui social, i meme sbeffeggianti e le canzonature delle dichiarazioni di Salvini non fanno più ridere. Il leader leghista siede sulla poltrona del Viminale e l’ironia delle opposizioni benpensanti vale poco, mentre una nave ancora carica di persone scappate da un destino non desiderato è in balia del vento e delle acque. Il neoministro appare invece sicuro, fermo e con l’animo del comandante, di chi conduce la propria attività politica quasi con un sentimento bellico e annuncia la chiusura dei porti e le misure di rimpatrio come atti più da condottiero che da ministro.

Matteo Salvini ha deciso di fare proprie le teorie del generale prussiano von Clausewitz, che nel suo celebre trattato “Della guerra” scritto a inizio ‘800’ spiegò magistralmente come la politica fosse la continuazione della guerra con altri mezzi, dove però gli avversari in questo caso non sono attrezzati e minacciosi come l’esercito napoleonico, ma sono quei migranti vittime passive delle nostre paure.

Sono due i fronti aperti dal neoministro: quello tutto interno all’esecutivo per cannibalizzare i 5 stelle e ridurli a semplici figurine e quello esterno contro le organizzazioni umanitarie e chi, senza colpa, ne viene salvato. Se uno degli scopi della guerra è disarmare gli avversari Salvini vi è riuscito appieno, alleandosi con i 5 stelle e neutralizzando la loro politica, priva di identità, cerchiobottista e impreparata a un confronto con un partito identificato in poche parole d’ordine ma chiare: chiudiamo porti e frontiere, meno diritti e più sovranità. Mentre il reddito di cittadinanza, simbolo elettorale per i 5stelle, sfuma tra i calcoli della ragioneria di Stato e la riorganizzazione dei centri per l’impiego, le politiche leghiste si realizzano nell’immediato: sbarrando le porte ai migranti, interrompendo i soccorsi e le flebili politiche di accoglienza, incoraggiando i rimpatri. Il vero motto del governo del cambiamento è togliere anziché aggiungere, respingere invece di accogliere. Gli elementi che Clausewitz considerava necessari per intraprendere una guerra si manifestano limpidamente nelle mosse di Salvini: vi deve essere una ragione politica che si esprime in un governo, nel governo deve esserci un comandate in capo che sappia giocare di strategia e nella società si deve sviluppare un istinto d’odio e irrazionale: noi la chiameremo paura. Un sentimento impulsivo e primordiale gonfiato e ingigantito da chi è al governo, ignorato ed esorcizzato con superiorità morale da chi ora si trova all’opposizione, e al centro volti e persone in viaggio per fuggire dalle vere paure. Il meccanismo instaurato da questa sottile ideologia destrorsa è fare accettare misure restrittive, regolare la società in una ferrea disciplina a ogni grado della vita associata, dal contesto privato a quello pubblico. Così si spiegano i futuri provvedimenti che verranno presentati dalla maggioranza: legittima difesa sempre legittima, l’uso del taser per le forze di polizia, la costruzione di nuovi centri di detenzione per gli immigrati che riusciranno a sbarcare sulle nostre coste e, infine, i censimenti su base etnica. La paura così intesa viene trasformata da sentimento istintivo a parametro sociale per realizzare politiche di ordine pubblico e di sicurezza privata, falsificando i bisogni e le giustificate aspirazioni di vivere in un mondo meno incerto e instabile. Si giustifica una guerra interna alla società in nome della reazione e della protezione, non accorgendosi che la paura non è il riflesso della condizione oggettiva dei fenomeni.

Se quella di Salvini è una guerra ai deboli e ai diversi, non è assoldando un esercito dei “buoni” o rivendicando i diritti umanitari che si può costruire un’opposizione conflittuale, ma fare della politica uno spazio di vita, attraverso reti territoriali e movimenti culturali e sociali, per provare a mettersi in gioco. Ancora una volta, per non cadere nel burrone della paura.

Autore

Andrea Sofia