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Molto più di 194

Nella foto - Laboratorio Sociale Alessandria

 

Mia madre ha commesso un delitto “contro la integrità e la sanità della stirpe”, un reato penale secondo gli art. 545 e segg. del codice penale italiano, interrompendo da giovane una gravidanza indesiderata.
Io ho 27 anni, sono nata a 12 anni di distanza dall’approvazione della legge 194 del 1978, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, la legge in vigore in Italia che ha disciplinato le modalità di accesso all’aborto sicuro e legale, decriminalizzandolo.

La legalizzazione funziona. Vale anche per l’eutanasia, le droghe, la prostituzione, ed è una scomoda verità per chi ancora insiste nella difesa di vuote definizioni di vita e dignità senza curarsi delle conseguenze tragiche per le vite reali e la salute dei cittadini. Ne sono la prova i dati del Ministero della Saluta che riferiscono di una ricorso all’aborto sempre meno frequente: nel 2016 gli interventi sono stati 84.926, con una diminuzione del 3.1% rispetto al 2015. Un valore totale più che dimezzato rispetto ai 234.801 del 1982, anno in cui si è riscontrato il valore più alto in Italia.
Il calo degli aborti in Italia è dovuto a diversi fattori, uno dei quali è sicuramente stato, dal 2015, l’introduzione della possibilità per le maggiorenni di acquistare la cosiddetta “pillola del giorno dopo” senza prescrizione medica.

Ma allora perché da più di un anno in Italia, così come nel resto del Mondo, migliaia di donne sono scese in piazza a rivendicare diritti, tutele e autodeterminazione nelle scelte che riguardano i propri corpi e la propria salute?
Le statistiche non prendono in considerazione alcuni fattori: il numero di IVG clandestine (che oggi si praticano attraverso l’assunzione di farmaci reperibili che raramente danno complicazioni che richiedono il ricorso alla struttura ospedaliera) o il numero di donne che sono costrette a cambiare città, provincia o in alcuni casi regione per poter accedere alla prestazione medica a causa di numeri di obiettori elevatissimi.

“Rifletterei – spiega Luca Benci, giurista, saggista, esperto di diritto sanitario e biodiritto – sulle strategie per combattere quel che rimane dell’aborto clandestino. L’ultima relazione ministeriale parla di dodicimila aborti annui eseguiti in clandestinità. Occorre pensare, a vari livelli, alle cause che generano questo grave fenomeno e le strategie per combatterlo.
A quarant’anni di distanza dell’approvazione della 194 andrebbe rivisto l’istituto: l’obiezione di coscienza. E’ l’unico istituto che ha tradito le aspettative: da diritto da riconoscere a una stretta minoranza di professionisti a diritto della maggioranza, esercitato in modo strumentale, che mina alla radice il diritto delle donne e la funzionalità dei servizi. Per abrogare l’articolo ci vuole però una maggioranza parlamentare e non sono convinto che ci possa essere in questa legislatura”.

Senza contare che l’accesso alla Ru486 avviene a macchia di leopardo negli ospedali del Bel Paese e che il protocollo di applicazione della pillola abortiva costringe nella maggioranza degli ospedali italiani a tre giorni di ricovero, differentemente da quanto accade in altri paesi UE.

“Oltre alla già citata obiezione di coscienza – continua Benci – penso che possa essere favorita l’interruzione farmacologica che ha, da sempre, trovato molte opposizioni anche all’interno del mondo professionale e delle organizzazioni sanitarie che l’hanno sottoposta a modalità vessatorie come l’obbligo del regime di ricovero. Inoltre, visti i numeri – in diminuzione netta tra le donne italiane ma in aumento sulle donne migranti – direi anche una forte attività di prevenzione proprio su quest’ultime”.

I consultori, nati dalle rivendicazioni delle lotte femministe, dovrebbero tornare ad essere luoghi “sicuri” e privi di obiettori a cui ogni donna dovrebbe potersi rivolgere per chiedere assistenza per l’interruzione di una gravidanza indesiderata, o semplicemente per ricevere una corretta informazione.

Io ho 27 anni, sono nata a 12 anni di distanza dall’approvazione della legge 194 del 1978, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, una legge di fatto lentamente svuotata, privata dei servizi fondamentali sempre meno finanziati, esternalizzati e impoveriti. I fondi dedicati e le azioni volte alla prevenzione diminuiscono esponenzialmente, mentre aumenta il costo dei contraccettivi che non è coperto dal Servizio Sanitario Nazionale.
A me, in quanto donna, piacerebbe vivere in un paese i cui l’obiezione di coscienza in campo medico non esistesse; in cui i consultori fossero luoghi multi-professionali e multidisciplinari, con prestazioni dedicate a tutte le età; in cui la rete di servizi alle donne non fosse piena di buchi e strappi; in cui le scuole si facessero portatrici della responsabilità di educare alle differenze e all’affettività.

 

Beatrice, attivista di Non Una di Meno spiega il perché delle manifestazioni, dei presidi in programma in occasione dell’anniversario della Legge 194. Ad Alessandria appuntamento sabato 26 maggio nei giardini della stazione.

 

 

Autrice

Marta Sofia