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Non c’è alcuna alternativa

Nella foto - Laboratorio Sociale Alessandria

CRONACHE DI UN RISCATTO 

Nel loro tempo sono stati istanti, porteremo quelle scintille come trascinate dal vento della storia ad accendere i fuochi delle rivoluzioni, gli istanti diventeranno eternità e vivranno della potenza della costruzione di nuove pagine

“E più facile immaginare la fine del mondo che la fine del Capitalismo”.
Con ogni probabilità, questa è stata la frase più ripetuta all’interno degli ambienti culturalmente di sinistra, sia di movimento che da salotto, giovanili o meno, in quest’anno 2019 che ormai si avvia alla conclusione.
In effetti la si trova sovraimpressa anche in un video del trapper Young Signorino, il quale, che sia di sinistra oppure no, di culturale in senso stretto ha ben poco.
Più che una semplice proposizione, abbiamo in effetti a che fare con una constatazione sulla società di oggi e sull’atmosfera culturale che la pervade, resa celebre da Mark Fisher, inglese, intellettuale indipendente, filosofo e sociologo, morto suicida il 14 gennaio 2017 a soli 48 anni.
L’espressione che ha raccolto tanto successo è in realtà il titolo che Fisher ha voluto dare al primo capitolo di “Realismo Capitalista”, la sua opera più diffusa, un capolavoro filosofico, sociologico e insieme economico destinato, al di là di ogni qualsiasi dubbio, a diventare una delle letture di riferimento per l’analisi della fase storica che stiamo attraversando, caratterizzata dal sistema economico, sociale e politico che conosciamo come Neoliberismo.
Fisher, nella sua lucida genialità, ci mette in guardia sul come il Realismo Capitalista sia di fatto un’atmosfera che pervade la sfera culturale della nostra società, e che orienta il pensiero comune verso un orizzonte di rassegnazione al dominio del capitalismo, con un’intensità talmente ottundente da rendere impossibile anche solo immaginare un’alternativa verosimile al regime neoliberista. Questa potentissima persuasione è stata messa in atto dal capitalismo attraverso la mercificazione, sempre più estesa e concentrata allo stesso tempo, di ogni prodotto culturale creato dalle persone, semplicemente assegnandone uno specifico valore monetario: in questo modo la cultura si svuota, e con essa anche la storia pregressa, dato che la produzione culturale avviene nel corso di una sedimentazione storica. Privando la cultura dei suoi contenuti che non siano relegati al mero valore economico, si contribuisce in un certo senso a far dimenticare la storia da cui quella cultura ha avuto origine, e qui troviamo un passaggio decisivo della visione di Fisher del realismo capitalista: le persone immaginano un futuro sulla base di possibili variazioni, o per meglio dire aggiornamenti, del passato, e quindi della storia. Ma se la storia viene defraudata da tutto ciò che non sia monetariamente quantificabile, o in altri termini profittevole, attraverso la mercificazione delle creazioni culturali che in essa si sono sedimentate, diventa impossibile immaginarla ri-aggiornata in una sua versione futura. Possiamo quindi dire che il futuro è la storia che si ripete, che si riproduce: se per noi non esiste più una storia che sia diversa da quella del profitto, perchè non ce la ricordiamo più, come possiamo coerentemente immaginare, e magari provare a costruire, un futuro che non sia anch’esso del e per il profitto? Il trionfo supremo del capitalismo, il Realismo Capitalista.

Nella foto - Laboratorio Sociale Alessandria

La visione di Fisher è tutt’altro che ottimistica, ma riesce in ogni caso ad intravedere delle contraddizioni all’interno del nostro sistema sociale.
Il neoliberismo, o tardo capitalismo come viene definito dall’Autore, che pur manifestando tendenze interne autodistruttive (come la crisi finanziaria del 2008) dall’esterno appare inscalifibile, cela una contraddizione cruciale: di inevitabile in quanto naturale non ha nulla, perchè è un sistema determinato e legittimato da decisioni politiche da un lato, e dall’altro è alimentato e sostenuto sia da comportamenti individuali, cioè le virtualmente libere scelte del consumatore, sia tendenze collettive, come le mode e gli stili di consumo.
Volendo stabilire una nascita del neoliberismo, Mark Fisher cita l’economista marxista Christian Marrazzi, secondo il quale è possibile identificare una data precisa. Il 6 ottobre 1979 la Federal Reserve degli Stati Uniti decide di innalzare al 20% i tassi d’interesse, favorendo così, con una decisione realmente politica, ma nemmeno lontanamente fisiologica e naturale, tutti i soggetti in possesso di ingenti capitali, sia privati cittadini che imprese. Quella manovra fu, a tutti gli effetti, un caso di lotta di classe, in quel giorno vinta nettamente dalla classe sociale più ricca grazie ad un provvedimento economico frutto di una decisione politica.
La congiuntura creatasi, spacciata come reale in quanto naturale ma in realtà determinata dalla politica, divenne sempre più pesante per la classe lavoratrice a causa dell’introduzione della cosiddetta flessibilità del lavoro, anticamera di quella precarietà esistenziale e non solo lavorativa che caratterizza oggi le nostre vite. Una vita più difficile, per milioni persone, a causa di un provvedimento politico voluto dalla classe dominante per prendersi una rivincita sulla classe lavoratrice, dopo le conquiste sociali degli anni ’60-’70.
Uno stile di vita afflitto da ansia e insicurezza che contribuisce all’ingresso, per sempre più donne e uomini, nella depressione. Depressione ed altri disturbi di cui Fisher individua le origini in un’analisi acutissima e nitida: la società del capitalismo reale scarica la responsabilità del disagio mentale sulle persone come se fosse una colpa privata, la colpa di non essere abbastanza performanti, di non reggere lo stress di lavori svilenti e di una vita precaria all’interno di una società competitiva, individualista e spesso addirittura rancorosa.
Una società, quella del realismo capitalista, che nella fissazione ossessiva verso la performance dispiega un livello di burocrazia enorme, burocrazia che Fisher analizza in modo sintetico e convincente e che descrive come contraddizione del sistema, visto che la retorica neoliberista si è sempre accanita sull’inefficiente macchina burocratica statale, a favore di un’inverosimile fluida armonia dei mercati. La logica di profitto capitalista, la tensione verso il rendimento costante si basa su un sistema di controllo del lavoro morbosamente capillare.
E’ necessario svelare la cortina che circonda queste contraddizioni, partendo in ogni caso dal punto di vista che ne facciamo tutti parte, tutti in qualche modo contribuiamo ad alimentare il capitalismo reale, una verità che, nel pensiero di Fisher, deve costituire la base per qualsiasi azione politica autentica.

Autore 

Daniele Trovò