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Via Brodolini 50/54: dal basso si plasma la società, non il contrario

Nella foto - Laboratorio Sociale Alessandria

Riceviamo alcuni pensieri proposti da un militante del Movimento per la Casa sugli avvenimenti degli ultimi giorni e in particolare sull’occupazione abitativa delle due palazzine di Via Brodolini organizzata la scorsa settimana da 12 famiglie sotto sfratto. Pubblichiamo volentieri queste righe, convinti più che mai che la strada intrapresa dal Movimento sia quella giusta e felici di annunciare la prosecuzione dei traslochi e la rinascita dei sogni e delle speranze di decine di persone nella nostra città.

La nostra città vive un’emergenza vera e concreta, che è quella del dramma abitativo, vissuta da centinaia di famiglie. Queste famiglie sono state sommerse dalle promesse e dalle rassicurazioni di Comune e istituzioni che dovrebbero dar loro delle risposte reali per affrontare questo momento così difficile e frustrante. Queste promesse sono state puntualmente violate da parte di chi decide, in modo freddo e colpevole, di voltare lo sguardo altrove e non voler vedere la dura realtà fatta di sfratti incolpevoli  in cui versa oggi la nostra città e la provincia tutta.

Sabato 18 ottobre 12 famiglie alessandrine hanno  deciso di dire definitivamente basta alla situazione di disagio, abbandono e incertezza in cui sono state relegate dall’incapacità, dall’inettitudine e dalla non curanza delle istituzioni. E lo hanno fatto da sole, auto-organizzandosi per reagire finalmente ad una situazione esasperata ed insostenibile, che pare assurdo debba essere subita da famiglie in estrema difficoltà e fragilità. Sono queste le donne, gli uomini e i bambini che le nostre istituzioni hanno prima abbandonato e poi accusato di non essersi serviti dei mezzi canonici per l’assegnazione di una casa popolare; come spesso accade chi sta nei palazzi non ha realmente coscienza della realtà, infatti la strade istituzionali e riconosciute sono state tentate e ritentate, ma hanno sempre ricevuto come risposta delle porte chiuse in faccia. In queste condizioni l’unica scelta possibile dettata dalla sopravvivenza è stata l’occupazione di due palazzine in via Brodolini all’estremo del quartiere Cristo. Queste palazzine sono di proprietà del demanio militare e sono state lasciate inutilizzate pochi anni dopo la loro costruzione, più di 20 anni fa. Il comune dice che gli appartamenti da assegnare non esistono? Ebbene, abbiamo dimostrato ancora una volta che si sbagliano.

La realtà vissuta dalle famiglie occupanti è la stessa di moltissime altre in provincia e in tutta Italia, caratterizzata da un’estrema difficoltà economica causata dalla disoccupazione, dilagante in tutto il paese, dall’emarginazione sociale, dalla ghettizzazione (ecc.). E’ interessante e doveroso notare come questa tragica situazione non sia vissuta, come si è sovente abituati a pensare, solo dalle fasce  che si definiscono solitamente più fragili, povere ed emarginate della società, ma anche e soprattutto da persone che fino a pochi anni fa avevano una vita dignitosa, fatta di lavoro e famiglia, e che si sono viste spazzare via dalla crisi tutte le certezze conquistate in lunghi anni di  sacrifici. Queste donne, uomini e bambini hanno pensato che fosse giunto il momento di riconquistare la dignità perduta e affossata definitivamente da un assistenzialismo comunale che mai sembra aver puntato a risolvere veramente il dramma abitativo e che non è riuscito a fare altro che tamponare la situazione, attraverso i servizi sociali che propongono solamente esigui assegni familiari, che hanno come unici risultati quelli di creare dipendenza dalle risorse economiche sociali, la più completa alienazione dal mondo e il totale annientamento dell’autodeterminazione e della libertà. Questo assistenzialismo non aiuta ed è anzi controproducente e dannoso perché va a ledere i principi fondamentali umani e rende le persone amorfe, impotenti e prive di speranza nel futuro.

E’ questo il meccanismo al quale gli occupanti di via Brodolini hanno deciso coraggiosamente di sottrarsi al termine di un percorso durato mesi, nel corso dei quali il Movimento per la casa, di cui faccio parte, ha cercato ogni via possibile per aiutare queste famiglie. Finalmente ce l’abbiamo fatta. Sembra che le cose si stiano mettendo nel giusto ordine e comincio a vedere i primi tanto attesi sorrisi di uomini e donne che lavorano nelle loro nuove case per renderle vivibili e proprie, illuminati da una nuova luce di speranza che li aveva ormai abbandonati. Oltre al mio impegno come militante del Movimento, ho avuto una breve esperienza all’interno dei servizi sociali alessandrini  e non mi era mai capitato di sentire nel cuore la sensazione di dare alle persone ciò di cui hanno realmente bisogno, senza vederle intimorite dal giudizio di chi, investito di un ruolo istituzionale, può decidere di dare e togliere a piacimento o convenienza. Mai mi era capitato di percepire nelle persone vera e sincera gratitudine per la mano tesa loro da eguali, al di fuori di ogni inquadramento istituzionale, senza guadagni o perdite, in modo disinteressato e quindi per loro interpretabile come sincero, reale e sentito.  La mia non vuole essere assolutamente  una condanna ai  Servizi, che credo indispensabili in questo momento storico, economico e culturale; bensì una specie di esortazione ad essi che vedo arroccati dietro ruoli istituzionali riconosciutigli a fatica negli anni e quindi oggi incapaci di prendere una posizione dinamica,  pratica e reale di fronte a  problemi altrettanto pratici e reali, per una personale paura di perdita di autorità e di ruolo. I servizi dovrebbero essere realmente più vicini alle persone in difficoltà. Ci sono città italiane (non Alessandria) dove i servizi sono presenti ad ogni sfratto cosiddetto a rischio, che coinvolge quindi minori e disabili, e la sola presenza di un rappresentante dell’assistenza non fa che rendere il clima più rilassato e la situazione meglio gestibile per tutte le parti in causa. Con questo modus operandi, solitamente, la risoluzione della diatriba tra padroni di casa e affittuari si risolve in un clima più accondiscendente e pacato per entrambi gli attori, nella pratica ricerca di una soluzione slegata da dinamiche meramente istituzionali  e più vicine all’umanità del singolo. Ci sono città italiane dove le istituzioni si spendono e si sono spese davvero per la ricerca di soluzioni abitative per gli sfrattati incolpevoli, attraverso la costruzione di nuove case popolari o la riqualificazione di edifici privati o statali ormai abbandonati alla rovina; azioni che nella nostra città sembrano inconcepibili, inottenibili ed è anche per questo che mai le istituzioni sono state percepite come più distanti dalla popolazione e dai suoi reali bisogni e problemi.

La gestione del dramma abitativo attuata dal Movimento per la casa è stata spesso condannata dai Servizi  Sociali e dalle istituzioni poiché accusata di esercitare disparità tra chi si serve di metodi riconosciuti per l’assegnazione di un alloggio e chi invece decide di muoversi con l’autorganizzazione per risolvere la propria crisi abitativa. Il punto focale, che sembra sfuggire a chi si erge a giudice e giuria della questione, è la lentezza e l’incapacità di chi il problema lo gestisce dai palazzi del potere e che relega centinaia di famiglie nella più completa ed insana dipendenza dalle risorse economiche statali condannandoli ad una amorfa staticità ed incapacità di reazione positiva alla vita in generale, nell’ansiosa attesa di una manna dal cielo che potrebbe arrivare come anche no.

Il Movimento per la Casa, gli uomini, le donne e i bambini mi hanno insegnato come i meccanismi di questa società cieca e incurante possano essere schiacciati, come sia possibile costruire nuovi stili di vita e nuovi valori che guardino ai diritti, alla solidarietà e alla condivisione. Un passaggio di questa battaglia è la riappropriazione di ciò che dovrebbe essere per tutti di diritto: una casa. Rimaniamo convinti  che sono gli individui organizzati che plasmano la società e non il contrario.