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Valutare le grandi opere: una necessità sempre dimenticata

Nella foto - Laboratorio Sociale Alessandria

di Marco Ponti da lavoce.info

Non mancano gli esempi di grandi opere che si sono rivelate uno spreco di soldi dei cittadini. Il ministero ha ora creato una struttura tecnica che valuterà gli investimenti pubblici secondo regole precise, per rendere meno discrezionali le scelte politiche. Ma riuscirà a svolgere il suo ruolo?

Tornano di moda le grandi opere

È in corso un massiccio rilancio politico delle “grandi opere”, quasi tutte di trasporto. I denari pubblici in gioco sono moltissimi e potrebbero arrivare a 70 miliardi. Una cifra enorme se si pensa agli stretti vincoli di bilancio, per investimenti tutti concentrati su un numero limitato di grandi interventi, a cui si sommano le risorse dei Contratti di programma con Fsi e Anas. In particolare, l’onerosissimo piano industriale di Ferrovie dello stato – varato di recente e accolto trionfalmente – non fa alcun cenno né alla necessità di valutare alcunché, né al fatto che la gran parte degli investimenti sono puri trasferimenti pubblici, esonerati persino dalla necessità di ammortizzarli.
Il costo totale dei soli grandi interventi ferroviari ammonta a quasi 26 miliardi di euro (Allegato al Documento di economia e finanza 2016), equivalente a oltre un terzo di quello complessivo di tutte le opere.
Ma vi sono anche molte infrastrutture autostradali di dubbia utilità e urgenza, mentre la viabilità locale, che serve la grande maggioranza degli spostamenti, si trova in uno stato di manutenzione precario.
L’entità dei costi previsti impone che le grandi opere passino al vaglio di pubbliche e approfondite analisi, sia finanziarie sia del tipo costi-benefici, da parte di valutatori “terzi” rispetto ai committenti, per evitare scelte economicamente non giustificabili, dettate da considerazioni elettorali di breve respiro (nella migliore delle ipotesi). Purtroppo, esempi di progetti infelici non mancano, dagli 800 milioni già inutilmente spesi per la stazione alta velocità di Firenze – che non si farà – ai quasi 8 miliardi spesi per l’Av Torino-Milano, scarsamente utilizzata rispetto alla capacità e con costi stimati che sono il triplo rispetto ad analoghe linee francesi.
Se è vero che la decisione finale sulle opere pubbliche deve rimanere politica, non può però prescindere dai risultati di analisi rigorose, trasparenti e comparative, né ignorare studi e valutazioni effettuate da esperti indipendenti e deve anche aprirsi a un confronto con tutte le parti interessate.
La corruzione è deprecabile, ma un danno più grave può essere inflitto alla collettività dal dedicare enormi risorse all’esecuzione di strade, linee ferroviarie o ponti non giustificati dai benefici ambientali o di un traffico che è comunque destinato a una crescita modesta per ragioni economiche e demografiche.

La struttura tecnica di Delrio

Forse per la percezione della necessità di un cambiamento, è stata recentemente creata nel ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti una struttura tecnica (“struttura di missione”) che dovrà valutare gli investimenti pubblici secondo regole precise, per rendere trasparenti e meno discrezionali le scelte politiche. Ha prodotto delle “Linee guida” importanti e prossime all’ufficializzazione, e risulta abbia già iniziato a lavorare su diversi progetti.
L’iniziativa del ministro Delrio è lodevole e necessaria e deve ricevere il massimo supporto da parte di chi ha a cuore la cultura della valutazione e della trasparenza nelle scelte. Ma non si può fare a meno di notare che emergono anche ombre sul ruolo reale della neonata struttura, se guardiamo alle contemporanee dichiarazioni della politica. Da un lato, si susseguono infatti dichiarazioni in favore di “grandi opere” mai seriamente valutate (“cura del ferro”, opera “strategica” o che “crea 100mila posti di lavoro”, e così via). Dall’altro lato, molte scelte vengono dichiarate “irreversibili” per la presenza di forti penali in caso di mancata realizzazione. Ma le penali sono state spesso stabilite su contratti affidati senza gara, con progetti definiti solo con linee di pennarello sulle carte geografiche, e quindi con patti evidentemente lesivi dell’interesse pubblico. Prescindendo dalla consistenza giuridica delle penali (il governo Prodi cancellò quei contratti, il successivo esecutivo Berlusconi li ri-convalidò), è pur possibile valutare in modo rigoroso quali opere converrebbe alla collettività portare comunque a termine e quali sarebbero invece da cancellare o ridimensionare pur in presenza di penali (anche in funzione del loro stato di avanzamento: alcune sono appena iniziate).
Dai pochi dati disponibili emerge chiaramente che le grandi opere ferroviarie sono interamente a carico delle casse pubbliche, in quanto non ne è previsto alcun ritorno finanziario, nemmeno parziale, al contrario di quanto accade per la maggioranza degli investimenti infrastrutturali in altri settori. Quanto all’impatto occupazionale di tali opere, per unità di spesa, è notoriamente molto ridotto: al contrario del passato, si tratta oggi di un settore “capital-intensive”.
C’è dunque il rischio che la costituzione di un organismo apposito, così innovativo nei principi, copra il perpetuarsi di scelte non validate.
Considerazioni simili sono inoltre state espresse in un appello inviato pochi giorni fa al ministro Delrio, sottoscritto da quarantadue docenti ed esperti di trasporti, di orientamento politico molto differenziato.

“Meno arbitrio nell’uso delle risorse pubbliche”

Appello al Ministro Graziano Delrio

E’ in corso un grande rilancio politico delle “Grandi Opere”. I denari pubblici in gioco sono moltissimi, pari a circa 70 miliardi. Una cifra enorme se si pensa agli stretti vincoli di bilancio e tutti concentrati su un numero limitato di grandi interventi, a cui si sommano le risorse dei Contratti di Programma con FSI e ANAS.

Il costo complessivo dei soli interventi ferroviari ammonta a quasi 26 miliardi di euro (Allegato al DEF 2016), equivalente a oltre un terzo di quello complessivo di tutte le opere “strategiche”.

Galleria di base del Brennero (parte italiana) 4.400

Tunnel ferroviario del Frejus (parte italiana) 2.633

Linea AV/AC Milano Genova: terzo Valico dei Giovi 6.200

Linea AV/AC Napoli – Bari 2.656

Linea AV/AC Milano – Padova (escl. Treviglio – Brescia) 9.356

Linea Messina – Palermo 739

Totale 25.984

Esistono in ambito internazionale consolidate regole di valutazione economico-finanziaria, ma in Italia sono state finora ignorate. Per nessuna delle opere sopra citate c’è stata una valida analisi, pubblicamente disponibile al momento della decisione, che ne dimostrasse l’utilità sociale. Solo per alcune (il Brennero ad esempio), sono stati pubblicati documenti, peraltro oggetto di critiche metodologiche, solo dopo che la decisione era stata presa. Lo stesso vale per grandi progetti stradali, come la Pedemontana Veneta, quella lombarda, e la Livorno-Civitavecchia.

L’entità dei costi previsti impone che le grandi opere passino al vaglio di pubbliche ed approfondite analisi costi-benefici da parte di valutatori “terzi” rispetto ai committenti, per evitare scelte economicamente non giustificabili, dettate da considerazioni elettorali di breve respiro (nella migliore delle ipotesi). Purtroppo esempi di progetti infelici non mancano, dagli 800 milioni già inutilmente spesi per la stazione AV di Firenze che non si farà ai quasi 8 miliardi spesi per l’AV Torino-Milano, scarsamente utilizzata rispetto alla capacità, e con costi stimati tripli rispetto ad analoghe linee francesi.

Analisi indipendenti evidenziano come due progetti – la nuova linea Torino-Lione e la linea AC/AV Napoli – Bari, mostrino flussi di traffico, attuali e prospettici, così modesti da poter escludere che sia opportuno realizzarli nella forma prevista. Per la Milano-Padova le ricadute positive saranno quelle dell’aumento di capacità complessiva che si potrebbe però ottenere con interventi assai meno onerosi ed impattanti, mentre trascurabile appare il beneficio della velocizzazione del traffico diretto tra Milano e Venezia. Per quanto riguarda il Terzo Valico Milano-Genova un’analisi costi-benefici, ancorché sommaria ha dato anch’essa risultati negativi. Per tutte queste opere le previsioni di traffico sembrano essere irrealistiche, come è evidente sia dal confronto storico dei flussi reali sia dalla stima, implicitamente assunta nelle analisi, di un forte aumento della domanda a seguito della disponibilità dell’opera. Queste assumono poi tariffe d’uso invariate rispetto a quelle attuali, quindi implicitamente che l’intero costo di investimento sia a carico dell’erario.

Se è vero che la decisione finale sulle opere pubbliche deve rimanere politica, essa non può prescindere dai risultati di analisi rigorose, trasparenti e comparative, né ignorare studi e valutazioni effettuate da esperti indipendenti e deve anche aprirsi ad un confronto con tutte le parti interessate. La corruzione è deprecabile, ma un danno più grave può essere inflitto alla collettività dal dedicare enormi risorse all’esecuzione di strade, linee ferroviarie o ponti non giustificati dai benefici del traffico, destinato a una crescita comunque modesta per ragioni economiche e demografiche.

Forse per la percezione della necessità di un cambiamento, è stata recentemente creata nel Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti una struttura tecnica che dovrà valutare gli investimenti pubblici secondo regole precise e rendendo trasparenti e meno discrezionali le scelte politiche. L’iniziativa del Ministro Delrio è lodevole e necessaria, e deve ricevere il massimo supporto da parte di chi ha a cuore la cultura della valutazione e della trasparenza nelle scelte. Ma non si può fare a meno di notare che emergono forti ombre sul ruolo reale di questa struttura, se guardiamo alle contemporanee dichiarazioni della politica che certo non favoriscono valutazioni neutrali. Da un lato si susseguono infatti dichiarazioni politiche in favore di “Grandi Opere” mai seriamente valutate (opera “strategica” o che “crea 100.000 posti di lavoro”, ecc.), dall’altro lato molte scelte vengono dichiarate “irreversibili” a causa dell’esistenza di forti penali in caso di mancata realizzazione. Ma queste penali furono spesso stabilite su contratti affidati senza gara, con patti evidentemente lesivi dell’interesse pubblico. Prescindendo dalla consistenza giuridica di queste penali (il governo Prodi cancellò quei contratti, quello Berlusconi poi li ri-convalidò), è pur possibile valutare in modo rigoroso quali opere converrebbe alla collettività portare comunque a termine e quali sarebbero invece da cancellare o ridimensionare pur in presenza di penali (anche in funzione del loro stato di avanzamento: alcune sono appena iniziate). C’è dunque il rischio che la costituzione di un organismo apposito, così innovativo nei principi, copra il perpetuarsi di scelte non validate, sotto le fortissime pressioni da parte delle lobby interessate ai lavori, ma indifferenti all’utilità dell’opera. Auspichiamo che il ministro mostri nei fatti la proclamata volontà di cambiamento.

Firmato da:

Balotta Dario Osservatorio Nazionale Liberalizzazioni e Trasporti

Battisti Emilio Architetto

Beria Paolo Politecnico di Milano

Biancardi Alberto Componente dell’Autorità per l’energia ed il gas

Boscarelli Lorenzo Consulente di management

Bragantini Salvatore Consigliere di Amministrazione, Univ. degli Studi di Milano (Statale)

Brosio Giorgio già Università degli Studi di Torino

Cottarelli Carlo ex commissario straordinario per la Revisione della spesa pubblica

Degli Esposti Lorenzo Politecnico Milano

De Nicola Alessandro Adam Smith Society

Donato Vincenzo già Politecnico di Milano

Florio Massimo Università degli Studi di Milano

Gallo Riccardo Università La Sapienza di Roma

Giannetti Giancarlo Ingegnere

Giuricin Andrea Università degli Studi di Milano-Bicocca

Graziola Giancarlo già Università degli Studi di Bergamo

Laurino Antonio Politecnico di Milano

Leoni Riccardo

Macchiati Alfredo

Malgieri Patrizia

Massiani Jérome

Mercalli Luca

Molinari Aldo

Musso Enrico

Ortona Guido

Petrina Francesca

Ponti Marco

Postorino Maria Nadia

Pucci Paola

Puglisi Riccardo

Pugno Renato

Rubino Piero

Ranci Pippo

Ragazzi Giorgio

Silva Francesco

Spedicato Emilio

Tanzi Vito

Targetti Renata

Tartaglia Angelo

Treu Maria Cristina

Virno Claudio

Villani Paola

Maria Chiara

Vittadini Maria Rosa